Adriano Lombardi sempre nel cuore: c’è solo un capitano

Avellino – Como nel segno di Adriano Lombardi

Lui e Ago. Sono cresciuto portandoli sempre nel cuore e vivo con la ferma convinzione che Adriano Lombardi e Agostino Di Bartolomei non potrò mai dimenticarli. Allora, ogni anno.
Ogni anno, il 30 novembre e il 30 maggio sono momenti di ricordo indissolubile. Mi ritaglio un angolo tutto mio e provo a riviverli in maniera esclusiva. Consapevole che il ricordo di quel giorno a Mercogliano – quando Lombardi, già malato di Sla e a una fase avanzata della malattia – ho potuto vederlo da vicino e le immagini di quella dannata partita del 1984 che la Roma perse in casa contro il Liverpool resteranno lì per sempre. In tasca.

Due campioni. Con la palla e senza. Altrettante Bandiere che hanno saputo restare issate nella gloria del gioco del calcio allo stesso modo in cui hanno fatto breccia nei sentimenti dei tifosi che ne hanno potuto ammirare le gesta. Li accomunava quel modo d’essere persone per bene, mai al di sopra delle righe. Li ha uniti una fine drammatica, infelice.
Centinaia di migliaia di righe a volte sono eccessive. Altre ancora, appena sufficienti. E in alcuni casi, i fiumi di inchiostro sembrano controproducenti. Perché fai fatica a esprimere quello che – quando te lo racconti nel silenzio di un attimo costruito tutto per te – è impresso nella mente.

Un suicidio e un male incurabile. Un colpo di pistola alle 8.50 del 30 maggio 1994 e il lento – ma crudele – avanzare di un mostro cui ancora non si sa replicare. Un mostro che finì di agire il 30 novembre 1997. Non occorreva essere sostenitori della Roma, del Como o dell’Avellino per mostrare lacrime vere, cadute a fiotti. Partecipazione sentita, come quando accadono cose che scavano un solco nelle esistenze.

Ogni occasione è buona- doverosa – per celebrare Adriano Lombardi, per ricordare Agostino Di Bartolomei per rendere omaggio alla grandezza di Stefano Borgonovo, fenomeno in campo e ancor più grande dopo aver appeso le scarpette al chiodo. Stasera Como e Avellino sapranno tributare un omaggio commovente. Il Sinigaglia di Como  saprebbe essere anch’esso centro di accoglienza nel quale confluiranno i pensieri di milioni di sportivi. Si giocherà – si giochi! – anche nel nome di Lombardi che ha scritto pagine indelebili nella storia dei due club. Si giocherà al Partenio che ormai è casa Lombardi.
Oserei dire tuttavia che qualunque stadio d’Italia diventa domicilio naturale di due campioni, se è vero – come lo è – che tutte le volte in cui mi capita di ascoltare l’appello nominale di una curva che rimarca a gran voce che “un capitano, c’è solo un capitano”. Ecco.
Tutte quelle volte là, io penso ad Adriano. Poi penso ad Ago.

Post scriptum

Primi vagiti del 1978. Ad Avellino sembrava che l’inverno inoltrato avesse concesso una deroga. Quattordici gradi centigradi, suggeriva il termometro. I raggi solari proiettavano sul terreno di gioco le ombre dei ventidue calciatori. Sembravano quarantaquattro. Alle 17.45 della prima domenica di gennaio (per lo meno, credo – a memoria – che fosse quel giorno là), lo stadio Partenio somigliava a un panino da cui straborda l’insalata. Lo sventolio di drappi verdi, da una curva all’altra, certificava la vittoria: è la diciassettesima giornata di andata del campionato di serie B. L’Avellino, impegnato in casa contro la Sambenedettese, sfruttò l’occasione al meglio e vinse la partita di misura. A fine stagione, sarà promosso in serie A. L’immagine di Lombardi festante a pronto a raccogliere applausi, non la dimentico neppure nei giorni a venire. I fotogrammi di quegli occhi – sereni e affidabili – visti in tv mi restano dentro anche altrove. Quando la vita si sarebe svolta da altre parti dopo che il caso – quella volta lì – mi condusse ad Avellino.
A distanza di 27 anni, quegli occhi erano diventati braccia per accogliere e gambe per correre lontano. Muscoli con cui combattere e lettere dell’alfabeto per relazionarsi con il contesto circostante. Lombardi ha vissuto gli ultimi istanti della vita in stato di immobilità. Per interagire, utilizzava solo la vista. Costretto alla paralisi, Mercogliano era diventato il suo universo mondo. Avergli potuto dire tre parole messe in croce è stato un onore.

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